E' trascorso tanto tempo ed è giusto che metta la parola FINE.
Alle ore 9.03 del 29 maggio 2012 è cambiata per sempre la mia vita, sono cambiata io ed è cambiato il mio modo di vedere le cose.
Alle ore 9.03 il terremoto mi ha preso la testa e l'anima, me le ha scosse, sconvolte, frullate e shakerate.
La paura si è impossessata di tutte le mie cellule e ho lottato duro per affrontarla e sconfiggerla.
In parte l'ho fatto a circa sei mesi di distanza da quella maledetta mattina, mettendo nero su bianco quello che avevo provato e pubblicandolo sul sito di Mamme Acrobate.
Mi è servito per buttar fuori quello che avevo dentro, ma non è bastato.
La paura l'ho metabolizzata con il tempo, ma l'istinto di guardare il lampadario quando sento un piccolo rumore mi è rimasto.
Cerco di mettere la parola fine, pubblico sul mio blog il mio racconto, lo stesso che ho pubblicato allora, per esorcizzare la paura, per cercare di chiudere definitivamente la partita tra me e il terremoto, qui in casa mia, chissà che il "fattore campo" come nel calcio non giochi a favore mio.
Il
mio terremoto
Il
terremoto per me è un mostro con tre teste, una per ogni parte di me.
Come
moglie il terremoto è stato un disastro, ci sono stati danni, crolli, crepe
nelle proprietà della famiglia di mio marito.
Come
individuo, come singola persona, il terremoto è stato la paura che ti coglie di
sorpresa, la paura che non ti spetti, che non sei pronto ad affrontare, che mai
penseresti di dover affrontare…noi siamo cresciuti con la convinzione che il
terremoto fosse un problema di altri, non nostro. Noi credevamo “di essere al
sicuro”, credevamo che la nostra zona non fosse zona sismica…credevamo…ed
invece…sbagliavamo.
Come
mamma, invece, il terremoto, questo terremoto è stato, e sempre sarà, uno "scqualo con cq".
Verrà
il giorno in cui parlerò del terremoto con i miei bambini. Non so quando sarà,
ma so esattamente cosa racconterò. Il mio ometto l’ha vissuto, stava finendo la
prima elementare, la mia Principessa, due anni, era troppo piccola per rendersi
conto di ciò che stava succedendo.
Racconterò
cosa è successo, racconterò le scosse, racconterò che non lontano da noi ci
sono stati crolli e vittime. Racconterò la corsa in auto con il papà a
prenderli a scuola, racconterò che ci siamo trasferiti per un mese a vivere dai
nonni perché a casa loro, che abitano al piano terra, il terremoto si sentiva
di meno. Racconterò tutto, perché è giusto che sappiano cos’è il terremoto e
cosa è successo. Ma a loro non racconterò mai la paura. Quella no. Della paura
loro non sapranno mai niente. Quella paura che mi è entrata dentro, nell’anima
e nel cervello e che non vuole andare via, di quella no, con loro non ne
parlerò mai. Non racconterò che il 29 maggio, finita la scossa, mentre scappavo
per le scale di casa nostra, vedevo quei tre piani, quegli scalini che invece
che diminuire aumentavano sempre di più. Non racconterò che mentre scendevo, in
quella dimensione dilatata, dove un secondo ti sembra lungo un’eternità, ho
avuto la lucidità di pensare che se fossi stata con loro due, mai e poi mai
sarei riuscita a scappare. Non racconterò che quel gioco che facevamo per le
scale, io con la mia Principessa in braccio e il mio ometto a fianco, quella
gara a chi arriva prima, lanciati in una corsa disperata era in realtà una
sorta di esercitazione, per scappare, nel caso in cui ce ne fosse stato
bisogno…Non racconterò che i “tacchi”, le scarpe col tacco alto, le ho
sostituite con delle ballerine non di certo per un fantomatico mal di
schiena…no i tacchi li avevo abbandonati perché con le ballerine si corre più
agevolmente, soprattutto se hai una bimba di due anni in braccio.
Non
racconterò i pensieri che hanno affollato la mia mente mentre correvo a scuola.
La paura di trovare un cumulo di macerie. La paura di non riabbracciare più i
miei cuccioli. Non racconterò nemmeno la sensazione di impotenza che ho provato
quando sono tornata a scuola, a metà giugno, dopo che l’anno scolastico era
stato interrotto proprio il 29 maggio, a prendere lo zaino del mio bambino.
Quell’aula abbandonata, i quaderni e i libri aperti sui banchi, i fogli di un
compito in classe bruscamente interrotto. E il pensiero che il mio cucciolo si
era riparato sotto quel banco. Da solo. Era lì sotto da solo. Certo io non
potevo esserci…però ci ho pensato…eccome…in quel momento, in quel pericolo, lui
era da solo, io non c’ero, non ero lì a proteggerlo.
Racconterò
invece che quando sono andata a recuperare lo zaino, sul banco ho notato subito
il foglio del compito in classe, un compito sulle “parole difficili” con la c,
la q e cq. E quella parola…scqualo…scritta con cq. E racconterò anche la
spiegazione che mi ha dato il mio bambino. “Mamma se tutte le parole che
derivano da acqua si scrivono con cq, anche squalo deve avere la cq, visto che
lo squalo vive in acqua”. E, senza voler mancare di rispetto a nessuno, senza
voler essere irriverente nei confronti di chi ha subito ferite ben più profonde
delle mie, probabilmente mi scapperà un “benedetto terremoto che ci hai salvato
da uno scqualo con cq”.Foto: Gazzetta di Mantova
Grazie per questa testimonianza... Sei una persona meravigliosa l'ho capito da quello che hai scritto.
RispondiEliminaGrazie Laura, sei troppo carina.
Eliminami vien da piangere... a certe cose non si pensa mai!!! un bacione!
RispondiEliminaFede
Fede grazie! Fino a quella mattina neanch'io ci avevo mai pensato seriamente.
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